Condividiamo con piacere qualche passaggio dell’articolo comparso sul Venerdì di Repubblica il 2 ottobre scorso: lo scrittore e giornalista Gabriele Romagnoli ha raccontato la sua esperienza di postino, rievocando un mondo fatto di corrispondenze, calligrafie e silenzi di pianerottolo. Un racconto che parla del tempo in cui la posta era ancora un linguaggio, e il portalettere un messaggero quotidiano di emozioni, notizie e destini.
“Fu un 3 novembre, e Bologna venne sommersa da una nevicata”, ricorda Romagnoli. “La mia sezione designata era alla stazione centrale, dove mi presentai puntuale alle sette. Fui condotto in uno stanzone pieno di schedari in metallo dove decine di uomini infilavano buste.” Nella memoria dell’autore, quell’immagine resta come l’inizio di una lunga, minuscola epopea di strade e indirizzi.
La sua borsa, racconta, era “un vaso di Pandora”: lettere scritte con mani eleganti o tremanti, cartoline da luoghi lontani “da cui era impossibile non sbirciare il testo”, biglietti d’auguri, saldi bancari e bollette. Dentro quella mescolanza di vita e burocrazia, Romagnoli trovava la stessa varietà umana che più tardi avrebbe riconosciuto nel mestiere di giornalista. “Tempo dopo mi sarei ritrovato a pensare che il giornalista sia un po’ come il postino: porta informazioni, notizie, talvolta buone, talvolta cattive.”
Ma la carriera di postino di Romagnoli non durò a lungo. Finì, come spesso accade, per un dettaglio inatteso, un piccolo evento che diventa svolta.
“Mi era capitata una zona ampia, di case sparse, alla periferia estrema della città,” racconta. “Era una quasi campagna che cominciava oltre un passaggio a livello, alle spalle di via Paolo Fabbri 43.” Quel giorno, una primavera improvvisamente rovesciata in temporale lo costrinse a cercare riparo: “Parcheggiai il motorino e trovai un casolare con un annesso, una sorta di fienile. Mi sedetti, aspettando che spiovesse.”
Fu allora che comparve lui, il coniglio. “Sentii un suono strano. Mi voltai, e vidi un coniglio che stava rosicchiando una busta che sbucava dalla mia borsa: una raccomandata.” Quando Romagnoli si rese conto di cosa stava accadendo, era già troppo tardi. “Ne aveva sbriciolato un terzo, rendendola impresentabile. Lo fissai incredulo, tardando ad allontanarlo mentre continuava la sua opera di distruzione. Quando il cielo tornò sereno, io non lo ero più.”
Quella raccomandata mai consegnata segnò la fine della sua “breve carriera felice di postino”. Ma come spesso accade nei racconti migliori, dietro la perdita si nasconde un inizio. Romagnoli avrebbe poi continuato a consegnare messaggi, ma con un altro mezzo: la parola scritta.
“Dalla borsa ho estratto cartoline, lettere listate di nero, perfino biglietti vergati con rabbia. E una, soltanto una, con su scritto a stampatello: SPEGNITI. La depositai con particolare cura nella cassetta.” È in quella frase che si condensa il senso del mestiere e forse della scrittura stessa: attraversare le storie degli altri, senza mai sapere del tutto dove andranno a finire.
Vi invitiamo a leggere l’articolo intero dal sito online de La Repubblica 🙂
Photo credits: Archivio Poste
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